Il filtro antiparticolato (DPF, dall'inglese Diesel Particulate Filter) è un dispositivo presente nelle automobili per abbattere le emissioni inquinanti da polveri sottili dei motori diesel, principalmente il cosiddetto PM10. Questo è costituto da particelle molto piccole (dell’ordine delle decine di nanometri) le quali hanno pesanti effetti sulla salute umana anche perché veicolano altre sostanze come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e alcuni di questi ultimi sono cancerogeni. Il filtro deve avere due caratteristiche essenziali: trattenere al suo interno il particolato (è infatti costituito da materiali porosi a base ceramica) e resistere ad elevate temperature. Infatti, il continuo accumulo di particelle all’interno del filtro ne provoca il progressivo intasamento compromettendo il regolare deflusso dei gas di scarico ed ovviamente il comportamento del motore. Per questo è necessario rimuovere periodicamente il particolato accumulato sul filtro. Il particolato diesel è composto prevalentemente da materiale carbonioso e per rimuoverlo bisogna bruciarlo (ossidarlo): questo processo si chiama rigenerazione. L’ossidazione del particolato avviene a temperature di circa 600 °C ma nelle autovetture la temperatura dei gas di scarico è generalmente compresa tra i 200 ed i 300 °C. Per ossidare il particolato esistono due diversi approcci: si aumenta la temperatura dei gas di scarico (mediante una iniezione in eccesso di combustibile e conseguente aumento dei consumi di carburante) o si abbassa la temperatura di ossidazione con l’aiuto di sostanze catalizzanti aggiunte al combustibile (es. biossido di cerio meglio conosciuta come cerina) o depositate sulla superficie attiva del filtro (in questo caso si usano sostanze a base di metalli preziosi come platino, palladio o argento). Le due strategie possono anche tra loro essere combinate. L'adozione del filtro antiparticolato è stata introdotta agli inizi del ventunesimo secolo dal gruppo PSA e si è poi diffusa a tutti i costruttori. La Peugeot è stata infatti la prima ad installare sulle proprie vetture a gasolio un filtro in grado di trattenere le particelle inquinanti presenti nel gas di scarico; la tecnologia, ovviamente coperta da brevetto, sfruttava la "cerina" e venne presentata con la denominazione commerciale "FAP" (in Italia erroneamente utilizzata per identificare tutti i DPF). Tale soluzione venne subito proposta anche dalle altre maggiori case automobilistiche, le quali proposero molti sistemi analoghi a quello PSA, ma tutti aventi il medesimo risultato: abbattere le sostanze inquinanti dei gas di scarico dei motori Diesel. Questi sistemi vennero internazionalmente identificati come DPF, Diesel Particulate Filter e pur tutti basandosi su brevetti diversi avevano un funzionamento fra loro estremamente simile. Sebbene ci siano diverse tipologie di filtri in commercio, il funzionamento di base è il medesimo per tutti: un software di diagnosi e gestione monitora continuamente il filtro per assicurare un corretto funzionamento e una corretta manutenzione dello stesso; il filtro in questione è a sua volta abbinato a un precatalizzatore e ha lo scopo di filtrare fisicamente le polveri sottili. Esistono modelli dotati anche di un terzo elemento: un sistema che aggiunge un additivo al carburante; tuttavia i sistemi più diffusi sono progettati senza questo ulteriore passaggio. Come già anticipato, l'additivo permette al sistema di ridurre la temperatura necessaria per effettuare il sistema di rigenerazione, ma la maggiore diffusione di sistemi senza additivo ha dimostrato la non reale necessità di questo passaggio ulteriore, che appesantisce il veicolo a causa del serbatoio e del sistema di iniezione e, oltre ad essere meno economico da produrre perché avente più pezzi, costringe il consumatore agli interventi di rabbocco (anche se questi sono davvero occasionali). Il sistema raccoglie i gas combustibili nel collettore di scarico e poi li convoglia verso la marmitta catalitica, passando per il filtro vero e proprio, procedendo verso il vaso d'espansione, il silenziatore e l'uscita. Essendo fisicamente un filtro, questo si intasa nel tempo ma sono progettati per "rigenerarsi": sotto i 60 km/h (quindi durante i cicli urbani) il sistema filtra i gas e trattiene le polveri dentro di sé, superati i 70 km/h (quindi durante un normale viaggio extraurbano) avviene la pulizia, la cosiddetta "rigenerazione". Durante questo processo interviene il computer di monitoraggio che effettua una diagnosi del sistema per rilevare il grado di intasamento e, se necessario, avvia la pulizia che si ottiene iniettando una maggiore quantità di carburante al fine di aumentare la temperatura e quindi bruciare il PM10 raccolto. Il conducente del veicolo viene avvisato con una spia quando è il momento di pulire il filtro intasato e quindi procedere con il viaggio extraurbano. La non osservazione di questo processo causerà l'otturazione eccessiva del filtro, quindi il danneggiamento irreversibile e la sostituzione. E’ inoltre fondamentale attendere che il processo di rigenerazione giunga al temine evitando le cosiddette rigenerazioni interrotte: in questo caso può anche accadere che l’eccesso di carburante incombusto finisca nell’olio con le ovvie conseguenze. Esistono dei sistemi professionali, ovvero da effettuare presso autofficina, che permettono di ripulire a fondo il filtro che deve essere pertanto smontato e trattato. In molti casi viene anche proposto di eliminarlo del tutto. (vedi approfondimento domanda 8)
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